Se stasera mi ordino un sushi

Forse il rinomato "34", giornale conosciuto in ogni parte del globo, mi chiederà i diritti d'autore per questa pubblicazione non autorizzata. Ma dato l'inestimabile valore dell'articolo, correrò il rischio... ;-)

A parte l'ironia, avevo voglia da tempo di rivitalizzare questo scarno blog. Chissà che questo articolo scritto per 34 e riproposto qui non sia solo il primo di una seria di riflessioni un po' strutturate. Prossima volta trovo anche un titolo decente, sì sì.

Buona lettura!

Mari

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I prezzi del cibo crescono esponenzialmente, preoccupando policy-makers, governi e soprattutto quella parte della popolazione mondiale a richio di povertà o che sopravvive nella fame. Che fare?
130% in più il prezzo il frumento, 74% il riso, 31% per il mais . Gli aumenti da capogiro degli ultimi mesi dei cereali si sono riversati anche su latte, olio, uova e carne. Scomodo inconveniente per il mondo occidentale che di norma ha la pancia piena, la situazione si fa’ difficile per Juliana, Xiang, Amina che per portare un piatto a tavola spendono in media il 60-80% del loro reddito. E infatti donne e uomini di Messico, Egitto, Haiti e via discorrendo non se la sono sentita di stare a guardare, e hanno innescato proteste in tutto il mondo , costringendo governi e comunità internazionale a prendere misure congiunturali per abbassare i prezzi nei mercati interni e a ragionare sul da farsi.
Prima delle soluzioni, cerchiamo di capirci sulle cause. Il problema non pare essere nella disponibilità di cibo. Le scorte diminuiscono ma alla FAO dicono che, se la produzione alimentare mondiale fosse distribuita equamente, tutti gli esseri umani avrebbero garantiti dei pasti decenti. Le cause degli aumenti sono la crescita della popolazione, l’alto costo del petrolio che incide su fertilizzanti e trasporto, la riduzione delle scorte alimentari che stabilizzano domanda e offerta, la concorrenza tra la produzione alimentare e quella per gli agrocarburanti. Alla lista si aggiungono i magri raccolti di alcune aree del mondo, problema che il cambiamento climatico potrebbe trasformare da contingente a strutturale. Infine, contribuisce agli aumenti un cambiamento economico e culturale affascinante: più cinesi e indiani vogliono mangiare meno riso e più carne o verdure.
Ma l’infelice decollo che rischia di affamare milioni di persone dipende soprattutto dalla struttura del mercato internazionale. Nei paesi del Sud del mondo, le politiche hanno compiuto il miracolo di impoverire ulteriormente le popolazioni locali. Orfani delle istituzioni che mediavano tra loro e mercato internazionale e privati degli organi di sostegno alla produzione agricola locale, i piccoli produttori del Sud sono rimasti soli nel fronteggiare acquirenti giganti. Inoltre, spesso la produzione su larga scala si è alleata con il latifondo. Il paradossale risultato è che in un contesto di povertà e malnutrizione, la produzione del Sud è stata orientata dai gusti e dalle mode del Nord, piuttosto che al raggiungimento della sicurezza alimentare locale. Nel frattempo, i paesi occidentali non hanno ridiscusso i loro sussidi all’agricoltura. Nati con il nobile intento di garantire alle popolazioni di Europa e America del nord cibo sufficiente alla vita, adesso si sono trasformati nel simbolo dell’ingiustizia planetaria.
Quali le soluzioni possibili?
Coloro che perorano l’istituzione definitiva del cibo come merce scambiabile senza vincoli sul mercato, chiedono l’eliminazione dei sussidi agricoli e nei paesi poveri, per carità, investimenti in agricoltura. Le differenti soluzioni evocate da chi ritiene che il cibo, prima che una merce, sia un bisogno essenziale alla vita si schierano per il ritorno alla produzione per l’autoconsumo e il mercato locale, e per una distribuzione ai contadini delle terre storicamente in mano ad un nugolo di potenti locali.
La posta in gioco è anche un’altra. Mercato globale è frutta esotica, verdura fuori stagione, carne argentina e sushi, tutti prodotti che concepiamo come spuntati per natura da dietro il bancone. È scontato per noi mangiare tutto e bere tutto, senza limite che non sia misurato dal nostro portafoglio. Da parte loro, i ceti medi e alti del Sud aspirano al nostro livello di vita, in termini di comfort ma anche di scelta. La sfida, allora, è accettare che il limite c’è, ed è il diritto dell’altro. Anche noi abbiamo un “locale”, fatto di cibi, luoghi e persone da scoprire. L’obiettivo, sia chiaro, non sono delle enclave alimentari, piuttosto l’attivazione di processi virtuosi alla ricerca di uno scambio che sia anche un’incontro.

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