Here is the second round of Keynes vs Hayek!
Did you like it but still wondering hwat they were talikng about? Visit the econstories' page to get full text plus info here
Bel rap, ma non ci hai capito molto? Ecco il video con i sottotitoli in italiano:
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Extrañando el Sur :)
Per ricordare una giornata bellina passando a viaggiare - e in compagnia ottima! - pur restando in casa.. delicia minha!
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Industria argentina, ma senza troppo orgoglio - Industria argentina, but not so proudly made
A distanza di più di 10 anni dalla sua uscita, ho visto oggi, Garage Olimpo (1999), film di Marco Bechis sui desaparecidos durante la dittatura argentina.
Mi ha colpito molto come il film intreccia atti quotidiani, normali, quasi banali con le torture. La sequenza sovrana di questo intreccio è quella in cui Maria, una delle persone catturate e torturate, dopo un tempo indefinito in prigionia, viene portata a "fare un giro" dal suo carceriere. Con lui, che fino al momento della cattura per Maria è solo uno degli inquilini della pensione di sua madre, ha iniziato una relazione.
Maria, esile, và sull'altalena, prova a chiamare la madre. La coppia beve una birra in un ristorante e passeggia in mezzo alla folla urbana. Tanta normalità è però tradita dall'ennesimo tentativo di Maria di scappare. Come a dire che questo normale orrore, è meno normale di ciò che sembra.
La radio vecchio stile che i carcerieri accendono durante le torture porta l'iscrizione Industria Angentina. Chi ha vissuto in America Latina sa quanto popolari siano scritte simili nel continente. Parlano di una storia comune fatta di costruzione della nazione e modernizzazione industriale, entrambe perseguite con orgoglio e mai compiute. L'Industria Argentina sulla radio dei torturatori appare quasi ironica, sembra riferirsi a ben altra e molto più atroce industria - quella della tortura.
Atroce nella sua quotidianità, ecco come è il male dipinto da Garage Olimpo. Intanto, una Buenos Aires senza tempo ripresa dall'alto - che però pare sia la Los Angeles contemporanea (?) - scorre sullo schermo a un ritmo innaturale.
As I discovered from Google Statistics that somebody somewhere sometimes outside Italy reads this blog, I am pleased to translate some of my posts into English. So you guys read more easily, and I practice it! I apologise for my mistakes. By the way, I really appreciate corrections!
After more than 10 years from its release, today I watched Garage Olimpo (1999), a movie by Marco Bechis about Argentinian dictatorship's desaparecidos.
The film impressed me because of its entanglement of daily, ordinary, almost banal acts with tortures. The master sequence of this weaving is that where Maria, one of the captives, after a indefinite time in detention, goes "for a walk" with her jailer. With him, who Maria knows until her seizure as a tenant of her mother's pension, she started an affair.
Skinny Maria goes on the swing, tries to call her mother. The couple has a beer in a restaurant and strolls among the urban crowd. One more Maria's attempt to escape betrays such everydayness. As if this ordinary horror were less ordinary than it would like to be.
On the old-fashioned radio that the jailers switch on during tortures it is impressed the motto Industria Angentina. Who knows Latin America is familiar with these inscriptions popular all over the continent. They narrate a common history made of nation building and industrial modernization, both proudly pursued and never accomplished. The Industria Argentina on torturers' radio appears almost ironic, it seems talking about a pretty different and much more ferocious industry - torture.
Atrocious everydayness, this is the evil that Garage Olimpo depicts. Filmed from above, a timeless Buenos Aires - that it is told to be contemporary Los Angeles (?) - passes on the screen at a very unnatural rhythm.
Mi ha colpito molto come il film intreccia atti quotidiani, normali, quasi banali con le torture. La sequenza sovrana di questo intreccio è quella in cui Maria, una delle persone catturate e torturate, dopo un tempo indefinito in prigionia, viene portata a "fare un giro" dal suo carceriere. Con lui, che fino al momento della cattura per Maria è solo uno degli inquilini della pensione di sua madre, ha iniziato una relazione.
Maria, esile, và sull'altalena, prova a chiamare la madre. La coppia beve una birra in un ristorante e passeggia in mezzo alla folla urbana. Tanta normalità è però tradita dall'ennesimo tentativo di Maria di scappare. Come a dire che questo normale orrore, è meno normale di ciò che sembra.
La radio vecchio stile che i carcerieri accendono durante le torture porta l'iscrizione Industria Angentina. Chi ha vissuto in America Latina sa quanto popolari siano scritte simili nel continente. Parlano di una storia comune fatta di costruzione della nazione e modernizzazione industriale, entrambe perseguite con orgoglio e mai compiute. L'Industria Argentina sulla radio dei torturatori appare quasi ironica, sembra riferirsi a ben altra e molto più atroce industria - quella della tortura.
Atroce nella sua quotidianità, ecco come è il male dipinto da Garage Olimpo. Intanto, una Buenos Aires senza tempo ripresa dall'alto - che però pare sia la Los Angeles contemporanea (?) - scorre sullo schermo a un ritmo innaturale.
As I discovered from Google Statistics that somebody somewhere sometimes outside Italy reads this blog, I am pleased to translate some of my posts into English. So you guys read more easily, and I practice it! I apologise for my mistakes. By the way, I really appreciate corrections!
After more than 10 years from its release, today I watched Garage Olimpo (1999), a movie by Marco Bechis about Argentinian dictatorship's desaparecidos.
The film impressed me because of its entanglement of daily, ordinary, almost banal acts with tortures. The master sequence of this weaving is that where Maria, one of the captives, after a indefinite time in detention, goes "for a walk" with her jailer. With him, who Maria knows until her seizure as a tenant of her mother's pension, she started an affair.
Skinny Maria goes on the swing, tries to call her mother. The couple has a beer in a restaurant and strolls among the urban crowd. One more Maria's attempt to escape betrays such everydayness. As if this ordinary horror were less ordinary than it would like to be.
On the old-fashioned radio that the jailers switch on during tortures it is impressed the motto Industria Angentina. Who knows Latin America is familiar with these inscriptions popular all over the continent. They narrate a common history made of nation building and industrial modernization, both proudly pursued and never accomplished. The Industria Argentina on torturers' radio appears almost ironic, it seems talking about a pretty different and much more ferocious industry - torture.
Atrocious everydayness, this is the evil that Garage Olimpo depicts. Filmed from above, a timeless Buenos Aires - that it is told to be contemporary Los Angeles (?) - passes on the screen at a very unnatural rhythm.
Spazzatura? No, casa
Una casa interamente fatta di materiale di scarto, interamente! Guarda l'incredibile opera di una coppia brasiliana:
Bertold Brecht e la protesta
Ho trovato una bella poesia di Bertold Brecht leggendo un articolo di dicembre 2010, ormai vecchio per l'era della notizia scaduta appena uscita sul giornale (qui ). A quanto pare le cose vecchie non sono sempre da buttare e così un articolo dicembrino può invogliarmi a diffondere una vitalissima - e vecchia - poesia:
So does that mean we've got to rest contented
And say "That's how it is and always must be"
And spurn the brimming glass for what's been emptied
Because we've heard it's better to go thirsty
So does that mean we've got to sit here shivering
Since uninvited guests are not permitted
And wait while those on top go on considering
What pains and joys we are to be permitted?
Better, we think, would be to rise in anger
And never go without the slightest pleasure
And, warding off those who bring pain and hunger
Fix up the world to live in at our leisure.
Che almeno la protesta non sia considerata fuori tempo massimo! :)
Foto da "Mastica e Sputa" sul G8 di Genova 2001 (Che fine ha fatto la mostra? Era così bella...)
Ma che bella la musica italiana!
A volte c'ho un cd disperso, senza titolo, così. Buttato tra altri cento... ma che cappero sarà? Mi domando. Lo metto su e riscopro la mia bella musica. Non mia nel senso di mia, musica italiana. E me la godo proprio, questa riscoperta!
Bhe, direi che rientra in quelle cose, la musica, che godute a distanza nella vita in un paese straniero, mi fanno amare il mio. Non solo lui, of course, ma un po' più di quanto lo amassi prima questo sì.
Ed ecco a voi...
Bhe, direi che rientra in quelle cose, la musica, che godute a distanza nella vita in un paese straniero, mi fanno amare il mio. Non solo lui, of course, ma un po' più di quanto lo amassi prima questo sì.
Ed ecco a voi...
Mantova - un palloncino

Chissà la faccia del bimbo, o più probabilmente ldela bimba, che si è lasciato sfuggire dalle mani questo bel palloncino in una seria chiesa mantovana.
A me è proprio piaciuto. Forse un leggero senso di spaesamento. Adagiato sul soffitto della Basilica di Sant'Andrea, mi ha colpito questo tenero palloncino a cuore e fuori posto!
Abdul, Sal, Mookie e Radio Raheem
Sal è un italoamericano che ha costruito con le sue mani una pizzeria in questo angolo nero e sogna che i suoi figli continuino quello che lui ha iniziato. I due non sono tanto per la quale, soprattutto Pino, che si svelerà profondamente razzista. Lui, tra i negri, non ci vuole stare. Sal, invece, li ha visti crescere con le sue pizze e uno per uno questi giovani del quartiere.
Mookie è un ragazzo nero che lavora per lui con ritmi bahiani, lentamente. Rispetta Sal, e Sal lo rispetta. Due suoi amici, Radio Raheem e Buggin Out frequentano la pizzeria, come tutti del resto. Radio Raheem con il suo stereo sempre a palla su Fight the Power dei Public Enemy; Buggin Out polemizzando per le foto di soli italoamericani appese nel locale. Un giorno però Buggin Out inizia a proporre il suo boicottaggio di Sal. Su quel muro, dice, devono esserci anche i fratelli di colore. E finché non sarà così, nessuno dovrà andare a mangiare dall'italiano. Solo che nessuno gli da' retta, sei matto, ci sono cresciuta con quella pizza, è la pizza più buona che c'è. E via così.
L'attaccamento di Sal e la benevolenza della comunità però non saranno sufficienti ad evitare la catastrofe. Sal, esasperato dall'isistenza di Buggin Out e dalla musica di Radio Raheem nel suo locale e spaccherà violentemente la radio di quest'ultimo. Le violenze proseguiranno con la morte di Radio Raheem per mano di un poliziotto e la distruzione del locale di Sal per mano degli abitanti del quartiere. L'ultima scena, in cui Mookie va da Sal a chiedere brutalmente la sua paga, chiude il film.
Fa' la cosa giusta è un film sul razzismo che non concede nulla al sensazionalismo o alla strumentalizzazione. Racconta come sentimenti d'intolleranza e violenza nascono e proliferano in un ambiente tutto sommato tollerante. O che comunque avrebbe i presupposti per diventarlo. Spike Lee sembra dire, non esiste il razzismo in quanto tale, esistono delle situazioni che lo alimentano. Prima che un'ideologia, il razzismo è un quotidiano e persistente disagio nella convivenza. Inoltre, è violento. Non è argomentato: per Pino, razzista e (infatti) violento, i suoi idoli neri - Prince, Magic Johnson... - non sono proprio neri, sono più che neri. Disagio nella convivenza non dialogato, mai mediato, solo lasciato scorrere.
Impossibile non pensare a Milano, sfondo dell'uccisione atroce di Abdul. Per strada, a sprangate, all'inizio di un giorno qualsiasi. Io non so se i signori Cristofoli siano razzisti. Loro dicono di no. Però quello che mi sembra plausibile, è che, dato che Abdul era nero, si siano sentiti più giustificati a massacrarlo. Bianco due calci nel culo e non farti più vedere, nero morto ammazzato. Forse ancora meno: neppure il progetto di uccidere, semplicemente le botte senza pensare a quando fermarsi. Già bianco non si doveva permettere, figurati nero. Già questo viene a rompere i c......i, poi figurati se ruba nel bar mio. In effetti, immagino i loro gesti violenti mossi da un desiderio di preservazione territoriale piuttosto che dalla ricerca di giustizia per un danno economico subito. Il problema non è il pacco di biscotti. E' che non ti devi permettere. Tu nero, ancora meno. Più che dentro un discorso razzista, giustificati da e armati di quello. Oltre che di violenza. Violenza ricevuta e restituita moltiplicata infinitamente. Come con la morte di Radio Raheem e la distruzione del locale di Sal.
Casca così, ed in effetti non ci voleva poi molto, la mia illusione che perla convivenza pacifica bsta che le persone si incontrino e conoscano reciprocamente. Era ovvio che non fosse così, ma continuavo a girarci attorno. Ci sono dei discorsi, delle dinamiche e forse dei sistemi che alimentano in noi violenza e razzismo. Questo livello "sistemico" nel film di Spike Lee non c'è. Non c'è tivvù, non c'è retorica politica e neppure politica, non c'è disuguaglianza. C'è una comunità quasi tutta nera con i suoi scazzi e problemi. Ma anche le sue allegrie. A Milano invece si vede fin troppo. Almeno vuol dire che si può migliorare.
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Samba!
Qui alcune immagini di serate di samba. Altre le trovate su www.flickr.com/photos/lefotodimari
Avrei voluto mostrarvi le foto della sfilata dei costumi del carnevale 2008 della Vai Vai, una delle scuole di samba più grandi di San Paolo. Purtroppo tra il mio computer, la valigia, una congiuntura astrale sfavorevole, dovrete "accontentarvi" di un sambinho piccino, ma delizioso! La sfilata invisibile, per la cronaca, si è svolta nella università Unipalmares, nn ho capito se solo per negretti o quasi solo per negretti. La leggenda narra che sia finanziata con fondi neri dal governo angolano...

La foto qui sopra è del sambinho moolto divertente nel centro della città di San Paolo, quasi un buteco, cioé un baretto mezzo sgarrupato, per un samba. Così, quasi provvisoriamente, fino a durare.
Entrambe le esperienze a loro modo bellissime. Chi entra in un samba, qualunque sia il suo umore, inizia a sorridere e ridere. E questa non è una leggenda!!
Baci baci
Avrei voluto mostrarvi le foto della sfilata dei costumi del carnevale 2008 della Vai Vai, una delle scuole di samba più grandi di San Paolo. Purtroppo tra il mio computer, la valigia, una congiuntura astrale sfavorevole, dovrete "accontentarvi" di un sambinho piccino, ma delizioso! La sfilata invisibile, per la cronaca, si è svolta nella università Unipalmares, nn ho capito se solo per negretti o quasi solo per negretti. La leggenda narra che sia finanziata con fondi neri dal governo angolano...
La foto qui sopra è del sambinho moolto divertente nel centro della città di San Paolo, quasi un buteco, cioé un baretto mezzo sgarrupato, per un samba. Così, quasi provvisoriamente, fino a durare.
Entrambe le esperienze a loro modo bellissime. Chi entra in un samba, qualunque sia il suo umore, inizia a sorridere e ridere. E questa non è una leggenda!!
Baci baci
Sao Paulo minha cidade? No, però...
"Eu sempre achei que ser muleque de rua deveria ser um dereito de todos os muleques do mundo"
che sarebbe "Ho sempre pensato che essere ragazzini di strada dovrebbe essere un diritto di tutti i ragazzini del mondo"
Lo frase, recitata sullo sfondo blu di una strada all'imbrunire, la dice un vecchio signore, Júlio Calasso, mentre passeggia tra bambini, biciclette e calci di pallone in una via del Brás, storico quartiere italiano di San Paolo. Una telecamera lo segue a lungo, mentre racconta la storia di quei luoghi in un bel documentario: Brás, sotaques e dismemórias. Il Brás, anticamente campagna, si popolò alla fine dell'Ottocento di fabbriche piccole e grandi, e di case semplici, abitate presto dagli italiani che sceglievano il Brasile come terra promessa.
La vita di quartiere crebbe solida sulle comuni radici degli abitanti, e si arricchì di musiche, cibi, feste, ricorrenze, tradizioni resistenti al tempo e anche allo spazio. L'arrivo della metropolitana fu una specie di uragano, che scombinò completamente la geografia dell'area. "Rua Doutor Almeida Lima, la via più triste del Brás" - dice Júlio. L'arrivo della metro è costato la distruzione di molte case, e la lacerazione del quartiere in due parti, una che continua a chiamarsi Brás, famoso per il bassissimo prezzo a cui ci si comprano i vestiti, meno per le condizioni di lavoro che consentono l'acquisto conveniente, e la Mooca, anch'essa conosciuta come zona di forte immigrazione italiana.
Guardando il documentario, lo ammetto, mi sono commossa. Nel senso, non è che ho pianto, è che vedere i miei antenati, i loro discendenti, farsi una vita tutta nuova scandita da usanze antiche, riconoscerne alcune, mi ha fatto tenerezza. Piccoli uomini in questa cittadona. Un pezzo della mia storia qui.
Oltre a questo, scoprire tra un brutto muro e un marciapiede sconnesso, delle vite intense, faticose, felici, delle case e delle imprese, delle storie e la storia, mi ha dato calore. Anche San Paolo, nonostante le apparenze, ne dona. Ebbene sì, è che forse forse, gli esseri umani non solo si abituano a tutto, ma ci si affezionano, anche!
Grazie Nina!
I ringraziamenti quelli veri sarebbero lunghi. Grazie è una parola speciale.. Per oggi Grazie Nina! vale appena e timidamente perché mi hai segnalato un sito bello.
Nella sezione Brasile c'è il link alla pagina dei graffiti, ma il sito è grande e contiene un sacco di immagini: http://www.lost.art.br
Oggi che marco il calendario per il secondo giorno con la scena del divano di casa ricoperto da passatempi buoni a sconfiggere la noia del ritiro bacilloso e forzato (che rottura!!!!) ci ho fatto una gita lunga. Fateci un giro anche voi!
Nella sezione Brasile c'è il link alla pagina dei graffiti, ma il sito è grande e contiene un sacco di immagini: http://www.lost.art.br
Oggi che marco il calendario per il secondo giorno con la scena del divano di casa ricoperto da passatempi buoni a sconfiggere la noia del ritiro bacilloso e forzato (che rottura!!!!) ci ho fatto una gita lunga. Fateci un giro anche voi!
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