Berlusconi se n'è andato, dopo quasi un ventennio di violenza sul mio paese. Io sono felice! E vorrei tanto essere stata qui:
Mi viene da piangere per commozione, ma anche perché vorrei davvero che ci fosse una classe politica capace di rappresentare e rispondere a questo entusiasmo con un modello sociale più giusto e pulito, oltre che con un'economia più efficiente, per il mio paese. Questo difficilmente avverrà con il futuro governo Monti. E dopo? Saremo capaci di trasformare l'entusiasmo in attenzione collettiva e politiche migliori? We all need fresh air!
************************************************************
Berlusconi has gone after almost twenty years of violence in/on my country. I am very happy! And I would love to be here (video above).
I feel as I would cry because I am moved, but also because I would like to be confident that our politicians are able to represent and answer to this enthusiasm with a more just and clean social model, along with a more efficient economy, for my country. This will hardly happen with the Monti's government. And after that? Will we be able to transform our enthusiasm in collective attention and better policies? Tutti noi abbiamo bisogno di aria fresca!
Links:
Silvio Berlusconi Premier: Una storia Italiana - Il Fatto Quotidiano
'Desberlusconizar' Italia - Antonio Tabucchi (El País)
It's time for an ascetic, noble Italy to replace the crass Berlusconi version - Maria Laura Rodotà (Guardian)
Festa dimezzata: Il PD vigili sulle scelte del governo Monti - Nichi Vendola (L'Unità)
Foreign Newspapers Press Review - Il fatto quotidiano
Visualizzazione post con etichetta economia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta economia. Mostra tutti i post
Fight of the Century: Keynes vs. Hayek Round Two
Here is the second round of Keynes vs Hayek!
Did you like it but still wondering hwat they were talikng about? Visit the econstories' page to get full text plus info here
Bel rap, ma non ci hai capito molto? Ecco il video con i sottotitoli in italiano:
Did you like it but still wondering hwat they were talikng about? Visit the econstories' page to get full text plus info here
Bel rap, ma non ci hai capito molto? Ecco il video con i sottotitoli in italiano:
Etichette:
Arte,
Diritti e rovesci,
economia,
Video
San Raffaele, luogo di sfida
(English below)
Qualche giorno fa sono stata al San Raffaele, ospedale a Milano, per una visita medica. Nulla di strano, se non fosse che è il San Raffaele ad essere... strano.
Arrivo dopo un viaggio in metro. Da subito mi sento spaesata, intravedo fuori dal treno paesaggi cybernetici. Autostrada sbiadita dalla luce del sole e campi ingrigiti dai capannoni. Milano in periferia, potrebbe essere qualsiasi posto e nessuno. Mi ricorda un po' San Paolo.
Esco dalla metropolitana scavalcando le transenne messe lì per dividere la metro da una navetta che porta direttamente all'ospedale. Persa, le scavalco prima senza biglietto, senza avere capito che divisione marcassero.Nessuno mi dice niente, qualcuno mi guarda. Come se nulla fosse, ritorno dalla parte del giusto passando la transenna con un biglietto (timbrato) in mano.
All'arrivo confondo il San Raffaele con un centro commerciale. A ragione. Lo spazio dell'ospedale è inaugurato con negozi e bar distesi su un buio corridoio che porta all'accettazione. Luogo in cui tutto si confonde, un malato sembra un passante e un pasante apparentemente sano deve essere - nell'immaginario - per forza il parente di qualcuno malato. Ma lo scenario è un centro commerciale, e quindi di fatto potrebbe proprio essere un passante. Insomma, incertezza.
Per andare al reparto passo per un parco... dei giadini dove, ancora una volta, rimane il dubbio che questo sia davvero un ospedale. Quel bimbo con il cappellino è forse un paziente o un parente, oppure questo è il suo parchetto di quartiere.
Luogo che sfida i confini e i significati dello spazio urbano e i limiti della fantasia. Un'altra frontiera del capitalismo in cui mercato diventa tutto e la vita è messa a lavoro? Magari sì, ma quello che mi è sembrato più interessante è, appunto, l'aria di sfida che lancia quello spazio. Geograficamente periferico, sociologicamente incerto, un luogo di permanenza ma anche di passaggio. Tutto tranne che un confine, piuttosto una frontiera.
***************************************************************************
A few days ago I went to the Milanese hospital San Raffaele for a medical visit. Ordinary stuff, but it was the San Raffaele a rather... not-so-ordinary place.
I get there after a tube journey. I feel immediatly confused, I glimpse almost cynerbetic spaces out of my train. A motorway fading under the sunlight and fieds greying under some sheds. Peripheral Milan, it could be a whatever place or none. It remembers me of São Paulo.
I get out of the tube climbing over the barrier that divides the tube from a railway service to the hospital. Lost, I climb it without the ticket, I did not get what was it there for. None wispers, some look at me. As if it were all fine, I return on the right side trepassing the barrier holding a (valid) ticket in my hand.
When I arrive, I mistake the San Raffaele with a mall. With some reasons. The space of the hospital is inaugurated by shops and bars lying along a dark corridor that brings to the reception. A place where everything stirs, an ill person seems a passerby and a passerby with a healthy face necessarily becomes - in my immagination - an ill person's relative. But the landscape is a mall, and so factually s/he could be really just a passerby. Well, uncertainity.
To get to the ward, I pass through a park... gardens where, again, my doubt about the fact that this place is really a hospital remains. That child with his hat could be a patient or a relative, or it is just his neighbourhood park.
A defiant place that challenges urban space's borders and meaning and my immagination's limits. Another frontier of capitalism where the market eats all and life becomes a productive input? Maybe so. What I found interesting, however, is the defiant attitude that this place holds. Geographically far, sociologically uncertain, a place to stay and one to just pass through. Not a border, a frontier.
Qualche giorno fa sono stata al San Raffaele, ospedale a Milano, per una visita medica. Nulla di strano, se non fosse che è il San Raffaele ad essere... strano.
Arrivo dopo un viaggio in metro. Da subito mi sento spaesata, intravedo fuori dal treno paesaggi cybernetici. Autostrada sbiadita dalla luce del sole e campi ingrigiti dai capannoni. Milano in periferia, potrebbe essere qualsiasi posto e nessuno. Mi ricorda un po' San Paolo.
Esco dalla metropolitana scavalcando le transenne messe lì per dividere la metro da una navetta che porta direttamente all'ospedale. Persa, le scavalco prima senza biglietto, senza avere capito che divisione marcassero.Nessuno mi dice niente, qualcuno mi guarda. Come se nulla fosse, ritorno dalla parte del giusto passando la transenna con un biglietto (timbrato) in mano.
All'arrivo confondo il San Raffaele con un centro commerciale. A ragione. Lo spazio dell'ospedale è inaugurato con negozi e bar distesi su un buio corridoio che porta all'accettazione. Luogo in cui tutto si confonde, un malato sembra un passante e un pasante apparentemente sano deve essere - nell'immaginario - per forza il parente di qualcuno malato. Ma lo scenario è un centro commerciale, e quindi di fatto potrebbe proprio essere un passante. Insomma, incertezza.
Per andare al reparto passo per un parco... dei giadini dove, ancora una volta, rimane il dubbio che questo sia davvero un ospedale. Quel bimbo con il cappellino è forse un paziente o un parente, oppure questo è il suo parchetto di quartiere.
Luogo che sfida i confini e i significati dello spazio urbano e i limiti della fantasia. Un'altra frontiera del capitalismo in cui mercato diventa tutto e la vita è messa a lavoro? Magari sì, ma quello che mi è sembrato più interessante è, appunto, l'aria di sfida che lancia quello spazio. Geograficamente periferico, sociologicamente incerto, un luogo di permanenza ma anche di passaggio. Tutto tranne che un confine, piuttosto una frontiera.
***************************************************************************
A few days ago I went to the Milanese hospital San Raffaele for a medical visit. Ordinary stuff, but it was the San Raffaele a rather... not-so-ordinary place.
I get there after a tube journey. I feel immediatly confused, I glimpse almost cynerbetic spaces out of my train. A motorway fading under the sunlight and fieds greying under some sheds. Peripheral Milan, it could be a whatever place or none. It remembers me of São Paulo.
I get out of the tube climbing over the barrier that divides the tube from a railway service to the hospital. Lost, I climb it without the ticket, I did not get what was it there for. None wispers, some look at me. As if it were all fine, I return on the right side trepassing the barrier holding a (valid) ticket in my hand.
When I arrive, I mistake the San Raffaele with a mall. With some reasons. The space of the hospital is inaugurated by shops and bars lying along a dark corridor that brings to the reception. A place where everything stirs, an ill person seems a passerby and a passerby with a healthy face necessarily becomes - in my immagination - an ill person's relative. But the landscape is a mall, and so factually s/he could be really just a passerby. Well, uncertainity.
To get to the ward, I pass through a park... gardens where, again, my doubt about the fact that this place is really a hospital remains. That child with his hat could be a patient or a relative, or it is just his neighbourhood park.
A defiant place that challenges urban space's borders and meaning and my immagination's limits. Another frontier of capitalism where the market eats all and life becomes a productive input? Maybe so. What I found interesting, however, is the defiant attitude that this place holds. Geographically far, sociologically uncertain, a place to stay and one to just pass through. Not a border, a frontier.
Traduzione del discorso di Dilma (Presidente del Brasile)
Come promesso, la traduzione in italiano del discorso di insediamento di Dilma Rousseff, neo-eletta presidenta del Brasile, pronunciato ieri a Brasilia:
Care brasiliane e cari brasiliani,
Per la decisione sovrana del popolo, oggi per la prima volta la fascia presidenziale cingerà le spalle di una donna. Sono immensamente onorata di questa scelta del popolo brasiliano e conosco il significato storico di questa decisione.
So anche come è apparente la morbidezza della seta verde-oro della fascia presidenziale, poiché questa porta con sé una enorme responsabilità di fronte alla nazione. Per accettarla ho com me la forza e l’esempio della donna brasiliana. Apro il mio cuore per ricevere, in questo momento, una scintilla della sua immensa energia.
E so che il mio mandato deve includere la traduzione più generosa di questo audace voto popolare che, dopo aver condotto alla presidenza un uomo del popolo, decide di convocare una donna a dirigere il destino del paese. Vengo per aprire le porte a molte altre donne perché possano, nel futuro, diventare presidenta; e perché – nel giorno di oggi – tutte le brasiliane sentano l’orgoglio e l’allegria di essere donne. Non vengo per elogiare la mia biografia; ma per glorificare la vita di ogni donna brasiliana.
Il mio impegno supremo è onorare le donne, proteggere i più fragili e governare per tutti. Vengo, prima di tutto, a dare continuità al maggiore processo di affermazione mai vissuto da questo paese. Vengo per consolidare l’opera trasformatrice del Presidente Luis Inácio da Silva, com cui ho avuto la più intensa esperienza politica della mia vita e, accanto a lui, il privilegio di servire il paese in questi ultimi anni.
Etichette:
Brasile,
Discorso,
economia,
politica,
Presidente
Dilma presidente, quasi una promessa d'amore
Ho tradotto il discorso di insediamento della nuova presidenta del Brasile Dilma Rousseff ha pronunciato oggi pomeriggio a Brasilia. E lascio qui un commento, nel post successivo pubblicherò il discorso in italiano.
Quando il sambista brasiliano Noel Rosa compose il grazioso samba Com que roupa? si interrogava sull'abito adatto da indossare per una festa. Apparentemente solo un samba senza molto impegno, la musica nasconde una critica sociale al Brasile degli anni Trenta e della crisi economica. Per ironia della sorte, la celata critica aveva una melodia troppo simile all’inno nazionale brasiliano, e così fu modificata prima di essere pubblicata. Probabilmente un esempio di black humor stile Latinoamerica, Com que roupa? sintetizza bene il mio umore ambiguo leggendo il discorso di Dilma.

Un discorso appassionato, che coniuga solennità, orgoglio e profonda fiducia in un Brasile tutto in crescita. Un discorso fatto al futuro ma che non rinnega il passato. Dilma si propone di trasformare in realtà l’ambizione nazionale ad essere una “democrazia vibrante e moderna, piena di impegno sociale, libertà politica e creatività istituzionale” e di realizzare il carnale desiderio del Brasile di potersi dire, finalmente, sviluppato.
I punti cardine del progetto sono l'eradicazione della miseria, l'investimento pubblico in salute, educazione e sicurezza, l’attenzione allo sviluppo economico e l'integrazione di tutto il paese. In aggiunta, Dilma ha menzionato la centralità della “donna brasiliana”, la riforma istituzionale e moderne politiche ambientali.
Con un emozionato ritorno al passato, la neo-presidenta ha indicato continuità con i governi Lula. Ha inoltre garantito il rispetto delle libertà di stampa ed opinione come lasciti della sua esperienza di lotta alla dittatura. Interessante è il ruolo internazionale ritagliato per il Brasile di promotore dell’integrazione latinoamericana e di maggiore democrazia nelle istituzioni multilaterali.
Tuttavia Dilma ha parlato per tutti, forse per troppi.
Quando il sambista brasiliano Noel Rosa compose il grazioso samba Com que roupa? si interrogava sull'abito adatto da indossare per una festa. Apparentemente solo un samba senza molto impegno, la musica nasconde una critica sociale al Brasile degli anni Trenta e della crisi economica. Per ironia della sorte, la celata critica aveva una melodia troppo simile all’inno nazionale brasiliano, e così fu modificata prima di essere pubblicata. Probabilmente un esempio di black humor stile Latinoamerica, Com que roupa? sintetizza bene il mio umore ambiguo leggendo il discorso di Dilma.

Un discorso appassionato, che coniuga solennità, orgoglio e profonda fiducia in un Brasile tutto in crescita. Un discorso fatto al futuro ma che non rinnega il passato. Dilma si propone di trasformare in realtà l’ambizione nazionale ad essere una “democrazia vibrante e moderna, piena di impegno sociale, libertà politica e creatività istituzionale” e di realizzare il carnale desiderio del Brasile di potersi dire, finalmente, sviluppato.
I punti cardine del progetto sono l'eradicazione della miseria, l'investimento pubblico in salute, educazione e sicurezza, l’attenzione allo sviluppo economico e l'integrazione di tutto il paese. In aggiunta, Dilma ha menzionato la centralità della “donna brasiliana”, la riforma istituzionale e moderne politiche ambientali.
Con un emozionato ritorno al passato, la neo-presidenta ha indicato continuità con i governi Lula. Ha inoltre garantito il rispetto delle libertà di stampa ed opinione come lasciti della sua esperienza di lotta alla dittatura. Interessante è il ruolo internazionale ritagliato per il Brasile di promotore dell’integrazione latinoamericana e di maggiore democrazia nelle istituzioni multilaterali.
Tuttavia Dilma ha parlato per tutti, forse per troppi.
Etichette:
Brasile,
Diritti e rovesci,
Discorso,
economia,
politica,
Presidente
Economia per principianti, si può!
Un pezzo dell'intervista all'economista Ha-Joon Chang su New Left Project http://www.newleftproject.org/index.php/site/article_comments/becoming_economic_citizens/
Question: On a related note, do you think that the way economic issues are treated in popular media discourse is healthy?
Answer: I think it is not discussed enough to begin with – compared to documentaries about animals or history, how many have you seen on economics? It is considered a technical subject, a boring subject, in the same way that you would not make a documentary on the techniques of plumbing – it’s considered to be an arcane, technical subject that no-one would understand. I think this is quite wrong – there are all kinds of documentaries on the natural sciences, and they are in my view far more difficult than economics. So there is definitely a false aura that economics is a technical thing that normal people wouldn’t understand and shouldn’t try to mess around with.
In questi primi giorni in Italia ho notato che il nostro telegiornale economico d'ordinanza, tipo quello che segue il TG1, è piuttosto risicato. Dopo il rito della presentazione degli indici di borsa, noi telespettatori riceviamo una specie di notiziario flash su pochi elementi (ritenuti) essenziali.
Non so se è una mia impressione ipercritica di chi è atterrato da poco o se invece ci sono davvero grandi margini di miglioramento... bhé, in ogni caso l'idea di popolarizzare l'economia mi piace tantissimo!
Question: On a related note, do you think that the way economic issues are treated in popular media discourse is healthy?
Answer: I think it is not discussed enough to begin with – compared to documentaries about animals or history, how many have you seen on economics? It is considered a technical subject, a boring subject, in the same way that you would not make a documentary on the techniques of plumbing – it’s considered to be an arcane, technical subject that no-one would understand. I think this is quite wrong – there are all kinds of documentaries on the natural sciences, and they are in my view far more difficult than economics. So there is definitely a false aura that economics is a technical thing that normal people wouldn’t understand and shouldn’t try to mess around with.
In questi primi giorni in Italia ho notato che il nostro telegiornale economico d'ordinanza, tipo quello che segue il TG1, è piuttosto risicato. Dopo il rito della presentazione degli indici di borsa, noi telespettatori riceviamo una specie di notiziario flash su pochi elementi (ritenuti) essenziali.
Non so se è una mia impressione ipercritica di chi è atterrato da poco o se invece ci sono davvero grandi margini di miglioramento... bhé, in ogni caso l'idea di popolarizzare l'economia mi piace tantissimo!
I miei piedi e il trickle down
Intuizioni mattutine fresche di giornata. Nascono sotto la doccia, si sviluppano verso la fermata del bus e poi affogano nella prima pausa caffé in ufficio. Rinasceranno?
Stamattina sotto la doccia ho avviato una riflessione sul trickle down, quella teoria pacificatrice delle coscienze e dei governi che dice che fare diventare ricchi i ricchi fa bene anche anche ai poveri. Come la pioggia, i diné scendono dai piani alti fino ai sottoscala.
La questione è che in doccia dimentico spesso di lavarmi i piedi. Quindi mi sono chiesta: se mi insapono e sciacquo per bene dalla testa alle caviglie, tutta quell'acqua e sapone che scorre verso il basso, basterà a pulire anche i piedi?

Il ragionamento è proceduto come al solito con la palla al centro e un biscotto tra le mani. Sulla strada per la 50 pensavo: on one hand, se hai i piedi molto sporchi, perché hai camminato a lungo con i sandali, c'è caduta la bbbirra,la strada era polverosissima allora non serve a molto quel residuo di doccia che ti scivola tra le dita. On the other hand, se i piedi non sono neri, magari li hai lavati ieri, o ti accontenti di una sciacquatina, allora può essere utile, sempre meglio di niente...
La politica del trickle down è stata usata per rendere meno progressivo il sistema di tassazione americano, e come argomentazione a sostegno di una crescita economica in cui i processi distributivi non sono governati. E' il mercato bellezza! Proseguendo la mia analogia, potrebbe sorgere il dubbio che il trickle down non sia una teoria sbagliata, come ho sempre pensato, ma solo inutile, poiché le politiche ad essa ispirate avrebbero effetti talmente lievi da diventare irrilevanti. Se l'obiettivo è lavarmi i piedi sporchi, devo strofinare tallone, pianda, collo e dita per bene. Se l'obiettivo è ridurre la povertà, è dei poveri che mi devo occupare, non dei ricchi.
A dire il vero, giunta qui, mi viene in mente che io penso ai miei piedi, penso ai poveri e ai ricchi. Li penso come oggetti distinti, non li penso in relazione. Penso cioé all'economia nei termini di risorse scarse per usi alternativi di Robbins, e non nei termini relazionali di Marx, per esempio. Non li penso neanche secondo l'analogia struttural-funzionalista del corpo sociale, in cui ogni istituzione e sistema ha una funzione per il tutto. Qui però inizio a perdermi, ci devo pensare ancora un po'! E' arrivata la pausa caffé.
Per ora, basta il trickle down, indigesto sul piano ideologico e dubbio su quello scientifico. In tutto ciò, ho deciso che da domani in doccia laverò per bene anche i piedi, non si sa mai.
Stamattina sotto la doccia ho avviato una riflessione sul trickle down, quella teoria pacificatrice delle coscienze e dei governi che dice che fare diventare ricchi i ricchi fa bene anche anche ai poveri. Come la pioggia, i diné scendono dai piani alti fino ai sottoscala.
La questione è che in doccia dimentico spesso di lavarmi i piedi. Quindi mi sono chiesta: se mi insapono e sciacquo per bene dalla testa alle caviglie, tutta quell'acqua e sapone che scorre verso il basso, basterà a pulire anche i piedi?

Il ragionamento è proceduto come al solito con la palla al centro e un biscotto tra le mani. Sulla strada per la 50 pensavo: on one hand, se hai i piedi molto sporchi, perché hai camminato a lungo con i sandali, c'è caduta la bbbirra,la strada era polverosissima allora non serve a molto quel residuo di doccia che ti scivola tra le dita. On the other hand, se i piedi non sono neri, magari li hai lavati ieri, o ti accontenti di una sciacquatina, allora può essere utile, sempre meglio di niente...
La politica del trickle down è stata usata per rendere meno progressivo il sistema di tassazione americano, e come argomentazione a sostegno di una crescita economica in cui i processi distributivi non sono governati. E' il mercato bellezza! Proseguendo la mia analogia, potrebbe sorgere il dubbio che il trickle down non sia una teoria sbagliata, come ho sempre pensato, ma solo inutile, poiché le politiche ad essa ispirate avrebbero effetti talmente lievi da diventare irrilevanti. Se l'obiettivo è lavarmi i piedi sporchi, devo strofinare tallone, pianda, collo e dita per bene. Se l'obiettivo è ridurre la povertà, è dei poveri che mi devo occupare, non dei ricchi.
A dire il vero, giunta qui, mi viene in mente che io penso ai miei piedi, penso ai poveri e ai ricchi. Li penso come oggetti distinti, non li penso in relazione. Penso cioé all'economia nei termini di risorse scarse per usi alternativi di Robbins, e non nei termini relazionali di Marx, per esempio. Non li penso neanche secondo l'analogia struttural-funzionalista del corpo sociale, in cui ogni istituzione e sistema ha una funzione per il tutto. Qui però inizio a perdermi, ci devo pensare ancora un po'! E' arrivata la pausa caffé.
Per ora, basta il trickle down, indigesto sul piano ideologico e dubbio su quello scientifico. In tutto ciò, ho deciso che da domani in doccia laverò per bene anche i piedi, non si sa mai.
Se stasera mi ordino un sushi
Forse il rinomato "34", giornale conosciuto in ogni parte del globo, mi chiederà i diritti d'autore per questa pubblicazione non autorizzata. Ma dato l'inestimabile valore dell'articolo, correrò il rischio... ;-)
A parte l'ironia, avevo voglia da tempo di rivitalizzare questo scarno blog. Chissà che questo articolo scritto per 34 e riproposto qui non sia solo il primo di una seria di riflessioni un po' strutturate. Prossima volta trovo anche un titolo decente, sì sì.
Buona lettura!
Mari
---------------
I prezzi del cibo crescono esponenzialmente, preoccupando policy-makers, governi e soprattutto quella parte della popolazione mondiale a richio di povertà o che sopravvive nella fame. Che fare?
130% in più il prezzo il frumento, 74% il riso, 31% per il mais . Gli aumenti da capogiro degli ultimi mesi dei cereali si sono riversati anche su latte, olio, uova e carne. Scomodo inconveniente per il mondo occidentale che di norma ha la pancia piena, la situazione si fa’ difficile per Juliana, Xiang, Amina che per portare un piatto a tavola spendono in media il 60-80% del loro reddito. E infatti donne e uomini di Messico, Egitto, Haiti e via discorrendo non se la sono sentita di stare a guardare, e hanno innescato proteste in tutto il mondo , costringendo governi e comunità internazionale a prendere misure congiunturali per abbassare i prezzi nei mercati interni e a ragionare sul da farsi.
Prima delle soluzioni, cerchiamo di capirci sulle cause. Il problema non pare essere nella disponibilità di cibo. Le scorte diminuiscono ma alla FAO dicono che, se la produzione alimentare mondiale fosse distribuita equamente, tutti gli esseri umani avrebbero garantiti dei pasti decenti. Le cause degli aumenti sono la crescita della popolazione, l’alto costo del petrolio che incide su fertilizzanti e trasporto, la riduzione delle scorte alimentari che stabilizzano domanda e offerta, la concorrenza tra la produzione alimentare e quella per gli agrocarburanti. Alla lista si aggiungono i magri raccolti di alcune aree del mondo, problema che il cambiamento climatico potrebbe trasformare da contingente a strutturale. Infine, contribuisce agli aumenti un cambiamento economico e culturale affascinante: più cinesi e indiani vogliono mangiare meno riso e più carne o verdure.
Ma l’infelice decollo che rischia di affamare milioni di persone dipende soprattutto dalla struttura del mercato internazionale. Nei paesi del Sud del mondo, le politiche hanno compiuto il miracolo di impoverire ulteriormente le popolazioni locali. Orfani delle istituzioni che mediavano tra loro e mercato internazionale e privati degli organi di sostegno alla produzione agricola locale, i piccoli produttori del Sud sono rimasti soli nel fronteggiare acquirenti giganti. Inoltre, spesso la produzione su larga scala si è alleata con il latifondo. Il paradossale risultato è che in un contesto di povertà e malnutrizione, la produzione del Sud è stata orientata dai gusti e dalle mode del Nord, piuttosto che al raggiungimento della sicurezza alimentare locale. Nel frattempo, i paesi occidentali non hanno ridiscusso i loro sussidi all’agricoltura. Nati con il nobile intento di garantire alle popolazioni di Europa e America del nord cibo sufficiente alla vita, adesso si sono trasformati nel simbolo dell’ingiustizia planetaria.
Quali le soluzioni possibili?
Coloro che perorano l’istituzione definitiva del cibo come merce scambiabile senza vincoli sul mercato, chiedono l’eliminazione dei sussidi agricoli e nei paesi poveri, per carità, investimenti in agricoltura. Le differenti soluzioni evocate da chi ritiene che il cibo, prima che una merce, sia un bisogno essenziale alla vita si schierano per il ritorno alla produzione per l’autoconsumo e il mercato locale, e per una distribuzione ai contadini delle terre storicamente in mano ad un nugolo di potenti locali.
La posta in gioco è anche un’altra. Mercato globale è frutta esotica, verdura fuori stagione, carne argentina e sushi, tutti prodotti che concepiamo come spuntati per natura da dietro il bancone. È scontato per noi mangiare tutto e bere tutto, senza limite che non sia misurato dal nostro portafoglio. Da parte loro, i ceti medi e alti del Sud aspirano al nostro livello di vita, in termini di comfort ma anche di scelta. La sfida, allora, è accettare che il limite c’è, ed è il diritto dell’altro. Anche noi abbiamo un “locale”, fatto di cibi, luoghi e persone da scoprire. L’obiettivo, sia chiaro, non sono delle enclave alimentari, piuttosto l’attivazione di processi virtuosi alla ricerca di uno scambio che sia anche un’incontro.
A parte l'ironia, avevo voglia da tempo di rivitalizzare questo scarno blog. Chissà che questo articolo scritto per 34 e riproposto qui non sia solo il primo di una seria di riflessioni un po' strutturate. Prossima volta trovo anche un titolo decente, sì sì.
Buona lettura!
Mari
---------------
I prezzi del cibo crescono esponenzialmente, preoccupando policy-makers, governi e soprattutto quella parte della popolazione mondiale a richio di povertà o che sopravvive nella fame. Che fare?
130% in più il prezzo il frumento, 74% il riso, 31% per il mais . Gli aumenti da capogiro degli ultimi mesi dei cereali si sono riversati anche su latte, olio, uova e carne. Scomodo inconveniente per il mondo occidentale che di norma ha la pancia piena, la situazione si fa’ difficile per Juliana, Xiang, Amina che per portare un piatto a tavola spendono in media il 60-80% del loro reddito. E infatti donne e uomini di Messico, Egitto, Haiti e via discorrendo non se la sono sentita di stare a guardare, e hanno innescato proteste in tutto il mondo , costringendo governi e comunità internazionale a prendere misure congiunturali per abbassare i prezzi nei mercati interni e a ragionare sul da farsi.
Prima delle soluzioni, cerchiamo di capirci sulle cause. Il problema non pare essere nella disponibilità di cibo. Le scorte diminuiscono ma alla FAO dicono che, se la produzione alimentare mondiale fosse distribuita equamente, tutti gli esseri umani avrebbero garantiti dei pasti decenti. Le cause degli aumenti sono la crescita della popolazione, l’alto costo del petrolio che incide su fertilizzanti e trasporto, la riduzione delle scorte alimentari che stabilizzano domanda e offerta, la concorrenza tra la produzione alimentare e quella per gli agrocarburanti. Alla lista si aggiungono i magri raccolti di alcune aree del mondo, problema che il cambiamento climatico potrebbe trasformare da contingente a strutturale. Infine, contribuisce agli aumenti un cambiamento economico e culturale affascinante: più cinesi e indiani vogliono mangiare meno riso e più carne o verdure.
Ma l’infelice decollo che rischia di affamare milioni di persone dipende soprattutto dalla struttura del mercato internazionale. Nei paesi del Sud del mondo, le politiche hanno compiuto il miracolo di impoverire ulteriormente le popolazioni locali. Orfani delle istituzioni che mediavano tra loro e mercato internazionale e privati degli organi di sostegno alla produzione agricola locale, i piccoli produttori del Sud sono rimasti soli nel fronteggiare acquirenti giganti. Inoltre, spesso la produzione su larga scala si è alleata con il latifondo. Il paradossale risultato è che in un contesto di povertà e malnutrizione, la produzione del Sud è stata orientata dai gusti e dalle mode del Nord, piuttosto che al raggiungimento della sicurezza alimentare locale. Nel frattempo, i paesi occidentali non hanno ridiscusso i loro sussidi all’agricoltura. Nati con il nobile intento di garantire alle popolazioni di Europa e America del nord cibo sufficiente alla vita, adesso si sono trasformati nel simbolo dell’ingiustizia planetaria.
Quali le soluzioni possibili?
Coloro che perorano l’istituzione definitiva del cibo come merce scambiabile senza vincoli sul mercato, chiedono l’eliminazione dei sussidi agricoli e nei paesi poveri, per carità, investimenti in agricoltura. Le differenti soluzioni evocate da chi ritiene che il cibo, prima che una merce, sia un bisogno essenziale alla vita si schierano per il ritorno alla produzione per l’autoconsumo e il mercato locale, e per una distribuzione ai contadini delle terre storicamente in mano ad un nugolo di potenti locali.
La posta in gioco è anche un’altra. Mercato globale è frutta esotica, verdura fuori stagione, carne argentina e sushi, tutti prodotti che concepiamo come spuntati per natura da dietro il bancone. È scontato per noi mangiare tutto e bere tutto, senza limite che non sia misurato dal nostro portafoglio. Da parte loro, i ceti medi e alti del Sud aspirano al nostro livello di vita, in termini di comfort ma anche di scelta. La sfida, allora, è accettare che il limite c’è, ed è il diritto dell’altro. Anche noi abbiamo un “locale”, fatto di cibi, luoghi e persone da scoprire. L’obiettivo, sia chiaro, non sono delle enclave alimentari, piuttosto l’attivazione di processi virtuosi alla ricerca di uno scambio che sia anche un’incontro.
Etichette:
Diritti e rovesci,
economia
Iscriviti a:
Post (Atom)