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San Raffaele, luogo di sfida

(English below)

Qualche giorno fa sono stata al San Raffaele, ospedale a Milano, per una visita medica. Nulla di strano, se non fosse che è il San Raffaele ad essere... strano.

Arrivo dopo un viaggio in metro. Da subito mi sento spaesata, intravedo fuori dal treno paesaggi cybernetici. Autostrada sbiadita dalla luce del sole e campi ingrigiti dai capannoni. Milano in periferia, potrebbe essere qualsiasi posto e nessuno. Mi ricorda un po' San Paolo.


Esco dalla metropolitana scavalcando le transenne messe lì per dividere la metro da una navetta che porta direttamente all'ospedale. Persa, le scavalco prima senza biglietto, senza avere capito che divisione marcassero.Nessuno mi dice niente, qualcuno mi guarda. Come se nulla fosse, ritorno dalla parte del giusto passando la transenna con un biglietto (timbrato) in mano.

All'arrivo confondo il San Raffaele con un centro commerciale. A ragione. Lo spazio dell'ospedale è inaugurato con negozi e bar distesi su un buio corridoio che porta all'accettazione. Luogo in cui tutto si confonde, un malato sembra un passante e un pasante apparentemente sano deve essere - nell'immaginario - per forza il parente di qualcuno malato. Ma lo scenario è un centro commerciale, e quindi di fatto potrebbe proprio essere un passante. Insomma, incertezza.

Per andare al reparto passo per un parco... dei giadini dove, ancora una volta, rimane il dubbio che questo sia davvero un ospedale. Quel bimbo con il cappellino è forse un paziente o un parente, oppure questo è il suo parchetto di quartiere.

Luogo che sfida i confini e i significati dello spazio urbano e i limiti della fantasia. Un'altra frontiera del capitalismo in cui mercato diventa tutto e la vita è messa a lavoro? Magari sì, ma quello che mi è sembrato più interessante è, appunto, l'aria di sfida che lancia quello spazio. Geograficamente periferico, sociologicamente incerto, un luogo di permanenza ma anche di passaggio. Tutto tranne che un confine, piuttosto una frontiera.

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A few days ago I went to the Milanese hospital San Raffaele for a medical visit. Ordinary stuff, but it was the San Raffaele a rather... not-so-ordinary place.

I get there after a tube journey. I feel immediatly confused, I glimpse almost cynerbetic spaces out of my train. A motorway fading under the sunlight and fieds greying under some sheds. Peripheral Milan, it could be a whatever place or none. It remembers me of São Paulo.

I get out of the tube climbing over the barrier that divides the tube from a railway service to the hospital. Lost, I climb it without the ticket, I did not get what was it there for. None wispers, some look at me. As if it were all fine, I return on the right side trepassing the barrier holding a (valid) ticket in my hand.

When I arrive, I mistake the San Raffaele with a mall. With some reasons. The space of the hospital is inaugurated by shops and bars lying along a dark corridor that brings to the reception. A place where everything stirs, an ill person seems a passerby and a passerby with a healthy face necessarily becomes - in my immagination - an ill person's relative. But the landscape is a mall, and so factually s/he could be really just a passerby. Well, uncertainity.

To get to the ward, I pass through a park... gardens where, again, my doubt about the fact that this place is really a hospital remains. That child with his hat could be a patient or a relative, or it is just his neighbourhood park.

A defiant place that challenges urban space's borders and meaning and my immagination's limits. Another frontier of capitalism where the market eats all and life becomes a productive input? Maybe so. What I found interesting, however, is the defiant attitude that this place holds. Geographically far, sociologically uncertain, a place to stay and one to just pass through. Not a border, a frontier.

"Dimettiti": piccoli pensieri sulla manifestazione di oggi con Libertà e Giustizia

Sto facendo un po' di giri sul web per capire che copertura ha avuto la manifestazione dei cittadini italiani con Libertà e Giustizia di oggi per chiedere le dimissioni di Berlusconi. Non molta a quanto pare, soprattutto all'estero. Anche su Twitter #dimettiti non è un topic particolarmente popolare.

Proprio un gran peccato. Io ci sono andata, ed è stata una manifestazione civile molto bella e partecipata. Come ha detto il mitico (!!!) Umberto Eco, certo non farà dimettere Berlusconi, ma almeno ci aiuta a confermare la nostra dignità come paese e come persone. E a sentirci meno soli in questo momento così avvilente.

Quattro cose in particolare mi hanno colpito:

1. Il peso delle parole: eravamo tutti lì per ascoltare. Sono arrivata quando il Palasharp era già pieno, quindi sono rimasta fuori. Eravamo tutti lì in piedi ed in silenzio, commentando i discorsi con amici e vicini a bassa voce. Mi ha fatto pensare che in momenti un po' speciali, anche nella ormai maleducata Milano, siamo capaci di ascoltare e rispettare l'interesse dell'altro per parole che ritiene/riteniamo importanti.

2. La bandiera italiana
: alcune persone l'hanno portata e sventolata durante la manifestazione. Simbolo a cui non siamo particolarmente legati, ma che probabilmente stiamo imparando a riscoprire, a me ha scaldato il cuore e rinfrescato la mente. Credo perché penso che i simboli siano importanti, possono aiutarci a costruire senso, appartenenza e responsabilità. Tutte cose di cui abbiamo molto bisogno.

3. L'ironia: mi sono divertita, proprio divertita. Gli interventi sono stati in generale critici ma allegri, ironici o scherzosi e soprattutto mai volgari. Io penso che questa sia la strada, basta solo musi lunghi!

4. I nuovi italiani: che poi sospetto ormai non siano più così nuovi. Bisognava prestarci attenzione, ma in mezzo alla platea c'erano persone dai tratti somatici di posti lontani e un paio di famiglie italo-nonsodidove. Siamo già cambiati, e lo siamo così tanto che persone con radici straniere o identità miste sentono la voglia di partecipare. Io non posso che esserne felice!

Quanto ci tenevamo ad esserci? Tanto, qualcuno era lì fin dalle 9 del mattino. Eroici!

Cercasi testimoni per Amed

Amed, attore, mediatore culturale, regista teatrale e chi più ne ha ne metta, è stato accoltellato in strada a Milano domenica 31 maggio. Si cercano testimoni!!!

More info at:

Bellezza

Sono arrivata a Milano a metà dicembre. Sballottolata dall'altra parte dell'oceano con la testa a mo' di frullatore, avevo tanta voglia di bellezza. Bellezza corpo, bellezza città, pulito, amici, serenità, bellezza chiacchiere, bellezza scherzo, conversazione, abbraccio, bellezza a tutto tondo.

Incontro Laura, lei di ritorno dal Perù, anche lei con la stessa voglia. Bellezza. Sarà che la tanto osannata America Latina fa schifo? Mi chiedo ubriachella. Pensiero paradossale, ovvio.

Rimango a Milano e incontro bellezza a fiumi. Il cinema che mi piace, il teatro, le chiacchiere, il cibo, gli amici i giochi, gli scherzi, le passeggiate, tantissimo affetto a casa e fuori. Che stupida idea questa cosa del viaggio, penso lucida.

Sarà che a Natale sono tutti più buoni, ma poi finisce lì. Inizio il 2009 e mi sveglio dal sogno. Bruttezza anche qui. Altre forme, altre facce. Bruttura anche qui. Mi incazzo, ci rimango male, che delusione mi dico. Faccio a cazzotti.

Poi per fortuna c'è il samba e grazie per avere inventato la fotografia. Ascolto quella musica magica che riesce sempre ad alleggerirmi e riguardo foto della Bolivia. Nutro orecchie e occhi, mi si riempiono cuore e cervello. Mi sento fortunata per tutta la bellezza di là e di qui, qualunque forma assuma.

Sono triste di partire, ma non sarei stata felice di rimanere. Penso. Bellezza e bruttura. Amarezza e gioia. Bom, vuol dire che doveva andare così.

Foglie a dicembre - Milano 2008



Sto imparando ad elaborare/editare/modificare insomma a smanettare con le foto in digitale! Oggi ho imparato a fare a colori parti di foto in bianco e nero!

Questo è il mio primo esercizio.. caruccio! ihihi rsrsrrsrss :-)

Abdul, Sal, Mookie e Radio Raheem

A volte ho la sensazione che le cose non succedano per caso. Milano, settembre 2008, "Fa' la cosa giusta". Il film di Spike Lee è del 1989. Ci ho messo quasi dieci anni per vederlo. Però, appunto, nel momento giusto. "Fa' la cosa giusta" è un film, bellissimo, sul razzismo. All'inizio sembra quasi un'etnografia filmata di una vita di quartiere, con i suoi pettegolezzi, le consuetudini, gli amori e gli scazzi. Poi lentamente ma inevitabilmente le tensioni emergono, prendono forza e assumono la forma della violenza. [Hai già visto il film? Salta al paragrafo 5]


Sal è un italoamericano che ha costruito con le sue mani una pizzeria in questo angolo nero e sogna che i suoi figli continuino quello che lui ha iniziato. I due non sono tanto per la quale, soprattutto Pino, che si svelerà profondamente razzista. Lui, tra i negri, non ci vuole stare. Sal, invece, li ha visti crescere con le sue pizze e uno per uno questi giovani del quartiere.

Mookie è un ragazzo nero che lavora per lui con ritmi bahiani, lentamente. Rispetta Sal, e Sal lo rispetta. Due suoi amici, Radio Raheem e Buggin Out frequentano la pizzeria, come tutti del resto. Radio Raheem con il suo stereo sempre a palla su Fight the Power dei Public Enemy; Buggin Out polemizzando per le foto di soli italoamericani appese nel locale. Un giorno però Buggin Out inizia a proporre il suo boicottaggio di Sal. Su quel muro, dice, devono esserci anche i fratelli di colore. E finché non sarà così, nessuno dovrà andare a mangiare dall'italiano. Solo che nessuno gli da' retta, sei matto, ci sono cresciuta con quella pizza, è la pizza più buona che c'è. E via così.

L'attaccamento di Sal e la benevolenza della comunità però non saranno sufficienti ad evitare la catastrofe. Sal, esasperato dall'isistenza di Buggin Out e dalla musica di Radio Raheem nel suo locale e spaccherà violentemente la radio di quest'ultimo. Le violenze proseguiranno con la morte di Radio Raheem per mano di un poliziotto e la distruzione del locale di Sal per mano degli abitanti del quartiere. L'ultima scena, in cui Mookie va da Sal a chiedere brutalmente la sua paga, chiude il film.

Fa' la cosa giusta è un film sul razzismo che non concede nulla al sensazionalismo o alla strumentalizzazione. Racconta come sentimenti d'intolleranza e violenza nascono e proliferano in un ambiente tutto sommato tollerante. O che comunque avrebbe i presupposti per diventarlo. Spike Lee sembra dire, non esiste il razzismo in quanto tale, esistono delle situazioni che lo alimentano. Prima che un'ideologia, il razzismo è un quotidiano e persistente disagio nella convivenza. Inoltre, è violento. Non è argomentato: per Pino, razzista e (infatti) violento, i suoi idoli neri - Prince, Magic Johnson... - non sono proprio neri, sono più che neri. Disagio nella convivenza non dialogato, mai mediato, solo lasciato scorrere.

Impossibile non pensare a Milano, sfondo dell'uccisione atroce di Abdul. Per strada, a sprangate, all'inizio di un giorno qualsiasi. Io non so se i signori Cristofoli siano razzisti. Loro dicono di no. Però quello che mi sembra plausibile, è che, dato che Abdul era nero, si siano sentiti più giustificati a massacrarlo. Bianco due calci nel culo e non farti più vedere, nero morto ammazzato. Forse ancora meno: neppure il progetto di uccidere, semplicemente le botte senza pensare a quando fermarsi. Già bianco non si doveva permettere, figurati nero. Già questo viene a rompere i c......i, poi figurati se ruba nel bar mio. In effetti, immagino i loro gesti violenti mossi da un desiderio di preservazione territoriale piuttosto che dalla ricerca di giustizia per un danno economico subito. Il problema non è il pacco di biscotti. E' che non ti devi permettere. Tu nero, ancora meno. Più che dentro un discorso razzista, giustificati da e armati di quello. Oltre che di violenza. Violenza ricevuta e restituita moltiplicata infinitamente. Come con la morte di Radio Raheem e la distruzione del locale di Sal.

Casca così, ed in effetti non ci voleva poi molto, la mia illusione che perla convivenza pacifica bsta che le persone si incontrino e conoscano reciprocamente. Era ovvio che non fosse così, ma continuavo a girarci attorno. Ci sono dei discorsi, delle dinamiche e forse dei sistemi che alimentano in noi violenza e razzismo. Questo livello "sistemico" nel film di Spike Lee non c'è. Non c'è tivvù, non c'è retorica politica e neppure politica, non c'è disuguaglianza. C'è una comunità quasi tutta nera con i suoi scazzi e problemi. Ma anche le sue allegrie. A Milano invece si vede fin troppo. Almeno vuol dire che si può migliorare.

Le foto del Bellezza!

Care e cari, lo so, in ritardo, fuori tempo, malamente, ma almeno potete ammirarvi in tutta la vostra bellezza e simpatia...ecco a voi: le foto della serata Ciao! al Bellezza.

Su: http://www.flickr.com/photos/lefotodimari/

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